giovedì 8 aprile 2010

L’anaffettività

Il benessere ha generato persone – specie giovani – anaffettive. Non importa che sia sopravvenuta la crisi economica: tale sentimento continua a essere molto diffuso, soprattutto nelle aree più progredite.

Sempre più vediamo un atteggiamento d’apatia, un’incapacità di vivere in sintonia con gli altri, una chiusura entro un mondo angusto e nemmeno egoistico, perché gli anaffettivi non amano neanche se stessi: è una cappa plumbea che avvolge vite anonime e grigie, con un torpore che somiglia troppo alla non – vita.

Ci troviamo di fronte a un senso di noia, un languore inappagato e inestinguibile per cui l’individuo non prova desideri o, se li vive, questi sono così vaghi e indeterminati da risultare del tutto irrealizzabili.

È la vittoria della passività, una pernice che ammorba il mondo postmoderno, benché pure nel passato possiamo rinvenire dei precedenti.

Ma la novità è il relativismo nichilista, una visione del mondo disgregatrice e disperata, vera crisi della filosofia moderna. S’è consumata una rottura e non vediamo soluzioni: un malessere che si diffonde a macchia d’olio e colpisce strati sociali via via più ampi, almeno in Occidente.

Certo, l’umanità ha mostrato sempre un istinto di sopravvivenza superiore a tutto e le ragioni, anche impellenti, della vita sono prevalse su ogni altra considerazione.

Ma, oggi, a quale prezzo!

Un cosmo sempre più opaco e deprivato d’ogni speranza, un sentire così evanescente che ci porta a immaginare gli uomini come amebe e troppi episodi che ci riempiono di sdegno ogniqualvolta che l’anaffettività sconfina nella cronaca criminale.

Non vediamo più la malinconica introspezione, ma constatiamo con sgomento che la negatività dell’esistenza si trasforma in istinti distruttivi: il nostro mondo ipercivile sembra regredire e ciò avviene senza rumore, tra l’indifferenza più assoluta.

Quanti amano, quanti sperano, quanti credono si sentono dei sopravvissuti e invano cercano di opporsi al naufragio generale: abbiamo perso dei modelli, ma non riusciamo a trovarne nuovi e nell’incertezza ci affanniamo e balbettiamo la nostra vacuità.

È difficile azzardare previsioni: si può solo affermare che le crisi, per definizione, sono brevi anche se ci vorrà del tempo per riconoscere la portata delle mutazioni.

Non è il caso, quindi, di essere apocalittici; neanche, però, è il caso di sottovalutare l’anaffettività.

Rosario Pollina

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