mercoledì 30 dicembre 2009

La pigrizia

La Chiesa e il sentire comune condannano la pigrizia o, peggio, l’accidia come un peccato capitale. Però, a guardare le cose più da vicino, tale giudizio appare troppo severo e anacronistico. Era certo giustificato nel passato, quando i ritmi erano più lenti, e dunque sprecare tutta quell’abbondanza di tempo era criminoso e imperdonabile. Ma oggi che siamo travolti dalle occupazioni e dalla frenesia febbrile d’infinite occupazioni oziare è divenuta una virtù, da curare con squisito narcisismo. Ritagliare per sé un’oasi di tranquillità e di beato far nulla, non pensare a null’altro che a se stessi e alle proprie fantasie, vagheggiare progetti che non si porteranno mai a termine sono tutte occupazioni che addolciscono la vita e la rendono più sopportabile. E, del resto, non è la cura che suggerisce ogni medico? Un’esistenza meno oberata da impegni e pensieri, cioè una vera e propria filosofia di vita, perché comporta la libertà dal superfluo. Chi, infatti, più del pigro ne è immune? Egli non sente i morsi dell’accumulare beni, perché ricercarli è troppo faticoso. Non prova neppure il sentimento defatigante dell’ambizione o, se ne è posseduto, non lascia che questo si trasformi in azione, e dunque è come se ne fosse privo. Certo, anche la pigrizia ha i suoi lati oscuri. Quanta noia essa ci porta e, con questa, il tedio. Oppure l’ozio è avvelenato dal rimorso di aver sprecato il tempo datoci in sorte o dal rimpianto di non averlo messo a frutto. Ma questi, a dire il vero, sono pregiudizi di una mentalità mercantile e volta al massimo profitto che troppo ha infierito in Occidente. Quell’Occidente che ha perso il senso profondo tanto dell’arte quanto dell’estetica, e che quindi rischia di spegnere la genialità. Anche la pigrizia, se coltivata da uno spirito superiore, può produrre capolavori: si pensi a Proust che sull’indolenza del Narratore ha costruito la cattedrale della Recherche; oppure si consideri la mitica figura del flâneur, vero archetipo di eroe mite e stralunato, anche se ironico nonché sornione osservatore del mondo.

Come concludere, allora? ... Certamente smentendo il poeta Catullo quando afferma che «otium tibi molestum est».

Rosario Pollina

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