martedì 10 novembre 2009

La lotta dei sindaci ribelli

Riportiamo l’articolo a firma di Roberto Rossi, pubblicato il 06 novembre 2009 nella sezione Italia su www.unita.it.

Domenico Giannopolo è uno dei ribelli. Anzi degli «irriducibili», come li hanno definiti, tra il dispregiativo e il rassegnato. Uno di quei 100 sindaci, ma il dato è in divenire, che in Sicilia si stanno opponendo al processo di privatizzazione delle acque. In un modo semplice: non consegnando le chiavi degli acquedotti ai gestori privati. L'ultimo atto di ribellione lo scorso 23 ottobre. A Sant’Angelo Muxaro, in provincia di Agrigento. Il messo regionale ha trovato la porta del comune sbarrata da una decina di «irriducibili». Ed è tornato indietro. «Non so quanto potremo durare» spiega Giannopolo che amministra il comune palermitano di Caltavuturo. Perché l’acqua privata in Sicilia è un affare troppo grande perché qualcuno si metta di traverso. Un affare, che nei prossimi trenta anni, smuoverà circa sette miliardi di euro. Dei quali 5 da spartire attraverso appalti e due da realizzare attraverso la semplice gestione. Soldi che stuzzicano l'appetito di Cosa Nostra.

Nella Regione il processo di privatizzazione è iniziato nel 2005. Il primo Ato (che coincide con i confini di ogni provincia) a finire tra le mani dei privati è stato quello di Enna. Poi a seguire tutti gli altri con la sola eccezione di Ragusa dove il processo di privatizzazione stagna. «L'assegnazione – spiega Giannopolo - è avvenuta con una logica spartitoria. Ad ogni gara si è presentato un unico raggruppamento di imprese”. Un concorrente, un vincitore, un pezzo di torta. Nel 2007 a Palermo vinse Acque Potabili Siciliane. Una gara fasulla, censurata anche l’Antitrust nazionale chiedendo la revoca dell'appalto. Ad Agrigento invece a vincere fu la Girgenti Spa. Un consorzio di imprese capeggiate dalla discussa società Acoset (gruppo Pisante). In due anni di acqua privata la città ha visto lievitare il costo della bolletta. Ogni famiglia spende all’anno 445 euro. In Italia è un record (ad Arezzo, seconda in classifica, se ne spendono 386). Per che cosa poi? Per un servizio inesistente, molte zone della città durante la settimana rimangono a secco, la rete è un colabrodo.

In metà della Sicilia, poi, quasi il 40% dell’acqua captata da Sicilacque – l’ex Ente Acquedotti Siciliani controllato dalla francese Vivendi - non arriva nei rubinetti di casa. In compenso le tariffe si sono impennate. Da qui la ribellione e il braccio di ferro con la Regione. Che contro i comuni dissidenti ha mandato il commissario. Spesso con qualche conflitto di interesse sulle spalle. Come l’ingegnere Rosario Mazzola, al tempo stesso commissario per l'Ato di Palermo e consigliere per alcune delle società che controllano Acque Potabili Siciliane. La mano dura non è servita a niente. I comuni hanno resistito. Per evitare complicazioni la regione ha deciso sospendere il commissariamento fino al 31 dicembre. I sindaci sperano che si ridiscuta la privatizzazione. All’Assemblea regionale siciliana giace da luglio un disegno di legge di ripubblicizzazione. Andrebbe solo calendarizzato. Nel frattempo Caltavuturo, come molte altre città in Italia, ha cambiato lo statuto comunale. Siccome nel nostro Paese non esiste una legge che fissa quali sono i beni a rilevanza economica. Il sindaco ha pensato di inserire la dicitura: «l’acqua non rientra tra i beni di rilevanza economica». Basterà? «Non lo so, ma non voglio essere complice»”.

Giuseppe Romana

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