sabato 25 luglio 2009

Il gelato prima del frigorifero

I nevaioli erano gli esperti del freddo di una volta. Sapevano conservare la neve in modo da renderla disponibile tutto l’anno ed inoltre erano capaci, malgrado l’inevitabile sfrido, di farla pervenire in luoghi molto distanti rispetto alle neviere. In passato, con normali precipitazioni nevose, molti monti della Sicilia potevano conservare per tutta l’isola. Esistono neviere a fossa su Monte Cane, Monte San Calogero, Pizzo Neviera, Monte Genuardo, La Pizzuta, Monte Barracù, Monte Rose, Monte Cuccio, Monte Inici, Monte Cammarata, Rocca Busambra. Ma quando capitavano inverni con scarse precipitazioni nevose, solo le Madonie e l’Etna riuscivano a garantire un sufficiente approvvigionamento di ghiaccio. Per chi non sa niente del mestiere dei nevaioli, le neviere a conca sono solo delle fosse senza significato. Agli amanti del trekking, molti monti della Sicilia riservano tante novità e storie da raccontare. Potrà sembrare incredibile, ma il ghiaccio delle Madonie poteva arrivare fino ad Agrigento oppure fino a Trapani. Centinaia di muli trasportavano sui loro dorsi i blocchi di ghiaccio ben impagliati, fino alla costa dove veniva imbarcata, oppure effettuavano la consegna agli acquirenti percorrendo le note trazzere siciliane, dopo diverse tappe notturne. Bisognava proteggere il ghiaccio dai raggi del sole, e l’impagliatura non garantiva un ottimo riparo, quindi era necessario organizzare il trasporto nelle ore più fresche. Il lavoro dei nevaioli iniziava appena terminava di nevicare. Centinaia di persone salivano in montagna e iniziavano le operazioni di raccolta e conserva della neve. Sotto la guida degli immancabili caporali, tutta la “ciurma” si divideva in gruppi che svolgevano diverse mansioni. Uno o più gruppi si dedicavano alla raccolta vera e propria, aiutandosi con ceste di vimini e pale raccoglievano la neve e la conferivano nella neviera (in dialetto “fossa” o “nivera”), dove altri operai la costipavano in diversi modi, pestandola con i piedi (“abballari supra a nivi”), facendovi girare sopra due o quattro muli, alla maniera della trebbiatura dei cereali, utilizzando una speciale mazzeranga di legno (“mattaffia”), infatti il ghiaccio di migliore qualità era rappresentato dalla neve ben compressa (“ammataffata”) e “netta”, cioè priva di impurità quali terreno o pietre. Appena la neviera era colma, si iniziavano le operazioni di copertura, tramite frasche o rami, infatti questa operazione veniva chiamata “arramari i niveri”. Le squadre di nevaioli veri e propri erano affiancate da altri operai che si preoccupavano del trasporto della paglia, del rifornimento dei viveri, e della manutenzione o costruzione dei pagliai dove tutti potevano trascorrere la notte. L’alimentazione, come si usava allora nel settore agricolo, si basava essenzialmente su razioni di vino e pane, cipolle, ricotta salata, sarde salate. Terminate le operazioni di conserva, la ciurma veniva licenziata. Nei pressi delle neviere restava il “montagniere” con compiti sia di vigilanza, per evitare i furti di neve, sia di gestione della vendita. A partire dalla festa di Pasqua si incrementava progressivamente il commercio del ghiaccio, fino a raggiungere il picco nel pieno dell’estate. I nevaioli curavano il trasporto della “neve” (in dialetto il ghiaccio veniva chiamato neve) o per conto proprio o mediante la collaborazione dei mulattieri (“gurdunara”). Il ghiaccio, tagliato in blocchi standard, veniva consegnato agli acquirenti medinante lunghissime colonne di mule (“retine”) che salivano e scendevano dalle montagne cariche di apparenti balle di paglia (“i rotoni”) che contenevano il prezioso “oro bianco” delle Madonie. Il massimo consumo di ghiaccio si registrava principalmente durante le feste patronali, ma la bottega della neve, nelle città, restava sempre aperta. A Palermo, nel deposito dello Spasimo, era possibile comprare la neve tutto l’anno, sia di giorno che di notte. A partire dalla fine del 1500 l’approvvigionamneto della neve era curato direttamente dagli amministratori cittadini, in genere veniva gestito in regime di monopolio, assegnato mediante asta pubblica. La gabella della neve garantiva al fisco introiti sicuri, grazie alle fatiche dei nevaioli di città e di montagna. A Palermo un senatore sovrintendeva alla fornitura della neve, e i nevaioli formavano una specifica corporazione. Dall’attività dei nevaioli dipendeva quella dei sorbettieri e dei caffettieri per la preparazione di sorbetti e gelati, come pure quella degli acquaioli che vendevano acqua fresca e aromatizzata. La produzione del ghiaccio industriale determinò la fine all’antico e faticoso lavoro dei nevaioli, ma ciò non avvenne facilmente e all’improvviso, poiché la gente era diffidente verso il ghiaccio industriale, ci vollero diversi decenni prima che esso venisse accettato senza timori. Oggi sono pochissimi gli anziani che hanno svolto il mestiere del nevaiolo. Nei paesi attorno alle Madonie, fino alla seconda guerra mondiale, si produceva il gelato con il ghiaccio conservato in montagna, se lo ricordano benissimo gli anziani Mario Fiasconaro di Castelbuono, Domenico Sottile di Isnello, Domenico Ferrara di Locati, gelataio ambulante fino agli anni ’50 del secolo scorso. Da alcuni anni, il CAI di Polizzi Generosa organizza la Festa della Neve, una manifestazione gioiosa che fa scoprire ai partecipanti la sorpresa della neve nella stagione estiva. Grazie ai preziosi ricordi dell’anziano nevaiolo Peppino Intravartolo, morto recentemente, è stato possibile localizzare la neviera a pozzo di Piano Principessa, a 1860 m di altitudine, dove il ghiaccio riesce a conservarsi quasi naturalmente e con pochissimo intervento umano sino alla fine di luglio. Molti partecipanti restano stupiti sia dalla scoperta della neve sia dalla produzione del gelato prodotto sotto il loro sguardo senza l’aiuto della gelatiera elettrica. Le Madonie in parecchi versanti conservano ancora intatte molte neviere. Decine e decine di queste semplici conche, sono manufatti semplicissimi ma ricchi di storia e di storie, lavoro e fatiche che hanno dato un contribuito preziosissimo alla civiltà e alla cultura. Cosa sarebbe l’alimentazione umana senza il gelato? Se il gelato, che ha le sue radici in Sicilia e nelle neviere della Sicilia il suo punto dipartenza, le neviere non meritano di essere dichiarate patrimonio dell’umanità? La montagna assicurava nei tempi passati il carbone per riscaldare e la neve per rinfrescare. Proporre d’inserire i nevaioli nel Registro delle Eredità Immateriali è il minimo che si possa fare, per ricordare questi semplici “artigiani del freddo”, che con il loro lavoro hanno consentito la trasmissione di una geniale creazione alimentare: il gelato.

Bibliografia: Romana L., Neviere e nevaioli, Palermo 2007. Costo 25 Euro. Testo non in commercio, chi desidera acquistarne una copia si rivolga all’indirizzo: giuha@tiscali.it

Luigi Romana

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